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Poesie - Parte prima

Introduzione

Per esigenze grafiche e per non appesantirne la lettura, le oltre cento composizioni sono state suddivise in 4 sezioni, le prime tre comprendenti 26 poesie, la quarta 24. Un totale quindi di 102 di cui 68 già pubblicate nei due libretti del 1985 e ’88, nell’Almanacco Culturale della Carnia del 1991, nell'antologia in friulano "Amalars - antologje de leterature furlane" ed. Kappa Vu a cura di Alessandra Kersevan e nel libro "Carnia Libera 1944 - Guida al museo di Ampezzo" ed. Kappa Vu, 2006, di Brunello Alfarè. Le rimanenti 34 sono dunque inedite con titoli a volte redazionali. Ogni poesia può essere localizzata nella pagina cliccando sul titolo riportato all’inizio della sezione, mentre alla fine del testo, sulla destra, è inserita una freccia che consente di ritornare all’inizio di pagina.

A fianco si riporta anche la traduzione in lingua italiana che però in molti casi non rende giustizia della profondità di significato della parola carnica e, in tema di poesia, nemmeno della sonorità, a volte onomatopeica, del testo. In alcuni casi non è stato possibile trovare in italiano i termini adatti, non solo quelli gergali relativi alle diverse professioni, ma anche quelli di uso comune. La Carnia, pur nella sua limitata estensione territoriale, presenta una varietà di parlate che differiscono da paese a paese, talchè le stesse composizioni di Miro sono additate come esempio di parlata “žuvielana (zovellana) (vedi:  https://it.wikipedia.org/wiki/Ravascletto), indicandone la peculiarità linguistica.

Si è cercato di fare il possibile, in attesa dell’apporto di qualche letterato-linguista (preferibilmente carnico) che consenta una più degna traduzione.

 

 

 

Ancora 28

14.  I gimui1

15.  Sora pinsîr

16.  Min e Tin

17.  La busa

18.  La politica

19.  L’ingiustizia

20.  Il cancar

21.  Las letaras

22.  L’ors di Pani

23.  Il Partigiano

24.  La Baita

25.  La Republica di Cjargna

26.  I Carbinîrs - Àstu cjapât                pôra mari?

Ancora 1

La mari cjargnela

 

Cui podarae mai

conossila a fonz?

In tal so cûr

a siera das voltas

monz interias

di dolôr.

Quâl dal so sanc

podarae cjalâla

cun vôi di disonôr?

E cui su la cjera

podarael mai dâj

il just compens?

E cui podarae mai tornâj

il so sanc?

Il so grant amôr,

dutas las sos agrimas?

E pur cun quâl

coragjo

a rivolč incjimò

il sguart al passât.

E cun quâl

tremenda ansia

a cjala ogni tant

sora las monz

viers il cîl.

La madre carnica

 

Chi mai potrà

conoscerla a fondo?

Nel suo cuore

racchiude alle volte

montagne intere

di dolore.

Chi del suo sangue

potrà guardarla

con occhi di disonore?

E chi sulla terra

potrà mai darle

il giusto compenso?

E chi potrà mai restituirle

il suo sangue?

Il suo grande amore

tutte le sue lacrime?

Eppure con quale

coraggio

rivolge ancore

lo sguardo al passato.

E con quale

tremenda ansia

guarda talvolta

oltre i monti

verso il cielo.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 2

Catin e pre Tita

 

Siôr Santul

ch’a mi judi,

il gno cjamp di Cortolez

al’è striât!

I lu prei Siôr Santul,

ch’al vegna a benedîlu!

L’an passàt las cartufulas

as era como pedôi,

fasûi nond’era.

Chest an

no florissin nencja,

e i fasûi non saltin fûr da cjera.

J ài nomo chel cjamp

in chest mont

cenča nujâti

e ai mi stria encja chel!

Siôr Santul,

ch’al vegni a benedîlu!

Biada Catin!

J mi prepararai

vuê j no ài nuja cun me.

Doman dopo mesa;

j nin doman Catin.

Intant pre Tita

cenča jessi viodût

al va a cjalâ cemût cu era

tal cjamp di Catin.

L’indoman como convignût

Siôr Santul e Catin

a s’invîn a benedî

il cjamp di Cortolez.

Metuda la stola

breviari tar na man,

pre Tita devant

scongiurant e benedint,

alčant la man.

“Al vâl pôc la me man

s’a nond’è ledan!”

Catin preant di devûr

“ora pro nobis

ora pro nobis”

“Al vâl pôc la me man

s’a nond’è ledan!”

Catin di devûr

“Libera me Domine

Libera me Domine.”

Catin e don Tita

 

Reverendo

mi aiuti,

il mio campo in Cortolez

è stregato!

La imploro Reverendo,

venga a benedirlo!

L’anno scorso le patate

erano come pidocchi,

fagioli non ce n’erano.

Quest’anno

neanche fioriscono,

e i fagioli non nascono.

Ho solo quel campo

in questo mondo

e nient’altro

ed anche in quello mi fanno la fattura!

Reverendo,

venga a benedirlo!

Povera Catin!

mi preparerò

oggi non ho nulla con me.

Domani dopo la messa;

andiamo domani Catin.

Intanto don Tita

di nascosto

si reca ad ispezionare

il campo di Catin.

L’indomani come convenuto

il Reverendo e Catin

si avviano a benedire

il campo di Cortolez.

Indossata la stola

il breviario in una mano,

don Tita davanti

supplicando e benedicendo,

alzando la mano.

“La mia mano poco vale

se non c’è letame!”

Caterina pregando appresso

“ora pro nobis”

ora pro nobis”

“La mia mano poco vale

se non c’è letame!”

Caterina da dietro

“Libera me Domine

Libera me Domine.”

      

Ancora 3

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985

Il desideri

 

Al era un piez

che Nart e Rosuta

si tignivin

di voli:

scuintransi

o quant chài portava legnas

o quant cul gei

ai puartava ledan.

Lant a messa

pasansi qualche peraula

quant che nissun sintiva.

Ma il moment

nol vigniva

di jessi propri bessôi

encja se

tant Rosuta che Nart

ai ceriva

in duta las manieras

di soddisfâ

chel desideri.

Finalmenti

al si vizina

San Blâs

fiesta a Sudri

e par tradizion

grant ball.

Rosuta, duta servizievul

a cjacara cun sô mari

ch’a vores lâ

ta chê fiesta

a balâ.

J domandarai

chel rabiosat di to pari.

Bepo astu sintût?

Rosuta à domandât

di lâ a balâ

a San Blâs.

Cun cui laressie?

Svualt, Santina

Nart e Lina.

Ben ch’a vadie.

J soi propri

contente, pari,

grazia tant tant.

A è una biela fiesta.

Rosuta….

I ven encja jò….

Il desiderio

 

Era un bel po’

che Nart e Rosuta

si tenevano

d’occhio:

incontrandosi

o quando portavano legna

o quando con la gerla

portavano letame.

Andando a messa

bisbigliando qualche parola

quando nessuno sentiva.

Ma il momento

non veniva

di essere soli soli

anche se

sia Rosuta che Nart

cercavano

in tutti i modi

di soddisfare

quel desiderio.

Finalmente

si avvicina

San Biagio

festa a Sutrio

e per tradizione

grande ballo.

Rosuta, tutta servizievole

parla con sua madre

che vorrebbe andare

a quella festa

a ballare.

Chiederò

a quello scontroso di tuo padre.

Bepo hai sentito?

Rosuta chiede

di andare a ballare

a San Biagio.

Con chi andrebbe?

Svualt, Santina

Nart e Lina.

Va bene, vada pure.

Son proprio

contenta, papà,

grazie tante.

E’ una bella festa.

Rosuta....

Vengo anch’io....

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 4

Pre Tita [1]

 

Pre Micjêl

titolâr da Parochia

di San Macjeu

a Monai

Pre Erminio

titolâr da Parochia

di Sant Andrea

a Giuviel.
Pre Tita inveča

al diseva mesa

a gratis

ta plui biela glesiuta

di dut il cumun,

a San Spirit,

cun di plui

al lava tal bosc

a fâ legnas

al lavorava la campagna

al faseva caritât

fin che in manicomi

a lu àn sgnacât.

Don Tita 

 

Don Michele

titolare della Parrocchia

di San Matteo

a Monaio

Don Erminio

titolare della Parrocchia

di San Andrea

a Zovello.

Don Tita invece

celebrava messa

senza compenso

nella più bella chiesetta

di tutto il comune,

a Santo Spirito,

inoltre

andava nel bosco

a far legna

lavorava la campagna

faceva la carità

finchè in manicomio

l’hanno rinchiuso.

[1] Nelle precedenti edizioni il titolo alla poesia era “Pre Micjêl”, ma sia il contesto sia nella minuta il titolo più appropriato  è “Pre Tita”

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 5

La piora di Virginia

 

Virgjnia e la sô piora.

J vevi dut aì

J volevi bon como as mês fias

cun chel tic di lana

j fasevi las cjalčas

e la maia par l’invier.

Ai passa i Cosacs

devûr il stali

ai la clama

bee, bee.

Jê como una stupida

a rispuint

bee, bee,

a lan copada in Cjampei

sul jet di Ustina.

Viôt viôt

s’a podeva jessi cussi stupida

cun int ch’a no

conosseva.

La pecora di Verginia

 

Verginia e la sua pecora.

Avevo tutto lì

Le volevo bene come alle mie figlie

con quel po’ di lana

facevo le calze

e la maglia per l’inverno.

Passano i Cosacchi

dietro la stalla

la chiamano

bee, bee.

Lei come una stupida

risponde

bee, bee,

l’hanno uccisa in Cjampei *

sul letto di Ustina.

Guarda tu

se poteva essere così stupida

con gente che non

conosceva.

 

 

        * Cjampei: località fra Zovello e Ravascletto

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 6

No tu sês buina da nuia

 

Susana a passava

tai paîs in gîr a cuenti

a cerî la caritât.

A conosseva tanc’ omps

e a puartava simpri

cjamas di farina e formadi.

E tu Virgjnia?

Tant cjaminâ

e nissun no ti dà nuja.

J soi qualchi an plui vecja.

Va ben

ma a è la Bernarda

ch’a è stupida,

a mi ven voia

di patafala

Sei una buona a nulla

 

Susanna andava

in giro nei paesi

ad elemosinare.

Conosceva molti uomini

e portava sempre

grandi quantità di farina e formaggio.

E tu Verginia?

Tanto camminare

e nessuno ti dà niente.

Sono qualche anno più vecchia.

Va bene

ma è la Bernarda

che è stupida,

mi vien voglia

di schiaffeggiarla.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985

Ancora 7

La femina cjargnela

 

A son trê.

Al à apena

cjantât il gjal

l’orloi da povera int.

Bisugna jevâ,

la femina par prima:

ai tocja a jê

il plui da fâ.

I fruts ai si rangja bessôi,

basta ch’ai sepi cjaminâ.

I setôrs ai son partîz

ma a è jê

che pas nûf

cun duta la spesa

tal gei ai tocja portâ

tar chel prât di mont

là ch’a vûl

dos oras di cjaminâ

par un pôc di fen

da seâ.

La donna carnica

 

Sono le tre del mattino.

Da poco

il gallo ha cantato

l’orologio della povera gente.

Bisogna alzarsi,

la donna per prima:

tocca a lei

il maggior lavoro.

I bambini ce la fanno da soli,

è sufficiente che sappiano camminare.

I falciatori sono partiti

ma è lei

che dà da mangiare a nove di loro

con tutte le provviste

da portare nella gerla

in quel prato di montagna

che per raggiungerlo

si impiegano due ore di cammino

per un po’ di fieno

da falciare.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell'Aprile 1988

Ancora 8

Il consei da lataria

 

Il president al vierč la riunion;

al ordin dal consei

un sôl argoment:

la scrematrîs.

La presenta il

president.

A lui ai era entrada tal cjâf,

cussì al si era preparât

par spiegâ la roba ben

como cu lava,

in mût che i

conseîrs ai capis l’importanča da

scrematrîs.

Comparis,

sino duc’?

Alora la seduda a è vierta.

I volares spegâsu

benon

di ce ch’a si trata

cun chest consei.

Como ch’j vares savût,

in tantas latarias di

âtis paîs

a è biel in opera una machina

ca si clama

scrematrîs.

A vegnares a stâ

una granda pegna

ch’a screma il sîr,

dopo fat il formadi.

Cussì inveza di fâ scueta

a si fâs spongja.

Pensait, comparis,

ce rendiment!

Ma Zef

ch’a nol saveva

propri nuja

ai à parût un sproposit

chesta sbarada

e saltant su

como un sborf

ai vosa al president.

A son tanč aigns

ch’j tu sês president

j ti vin simpri rispetât

ma volê cjapânus par dordèi

chest po no,

compari Jacum.

Il president

al cîr di fâ

opera di persuasion

clamant in causa

chel malgâr

cun tun gran barbon

e che in chest campo

l’era un saveon.

Ma Vitôr

simpri tant tirât

da pora di scuignî pajâ

al dà reson a Zef.

Un âti ai dà reson a

Bortul.

Fato sta

che pa scrematrîs,

si cjapin pal nâs

duc’ i conseîrs.

Viodinsi pierdût,

il president

al vosa ai conseîr:

Comparis,

no stait a cavilâ!

J rimandin la seduda

e j cirarin qualchidun

par fânus spiegâ.

Dopo qualchi dì

il president al veva cjatât.

Cui miôr di Pre Tita

podeviel spiegâ?

Al era un predi

nasût tal paîs,

al saveva

tant indevant

e po

al veva vacjas encja lui.

Di nûf

si clama il consei.

Las spegazions

di Pre Tita

non son suficienz

par fâju persiadûz.

Al è impussibil

che dal sîr

dal formadi

a vegne fûr

spongja,

quant qualchi volta

a no ven nencja la scueta,

al vosa Zef.

Simpri plui idemoniât

clamant a so reson

Bortul e Nardon,

che ai àn dafâs

cun compari

Tita e Min.

L’è dut un ribalton.

Il president

cun fuarča

al riva a vê la calma.

Pre Tita

al pos di nûf fevelâ.

I crodevi

che in chest paîs

j fossis stâz

oms graigns!

Inveza

j ài cjatât

fruts di chèi graigns

ch’a no j san

incjamò resonâ.

Convocazione del consiglio in latteria

 

Il presidente apre la riunione;

all’ordine del giorno

un unico argomento:

la scrematrice.

La presenta il

presidente.

A lui era entrata in testa,

così si era preparato

per spiegare il tutto per bene

com’era necessario,

in modo che i

consiglieri potessero capire l’importanza della

scrematrice.

Compari,

siamo tutti?

Allora la seduta è aperta.

Vorrei spiegarvi

per bene

di cosa si tratta

in questa riunione

Come avrete saputo,

in tante latterie di

altri paesi

opera già una macchina

che si chiama

scrematrice.

Ovvero

una grande zangola

che screma il siero

dopo aver fatto il formaggio.

così invece di far ricotta

si fa burro.

Pensate, compari,

che rendità!

Ma Zef

che non sapeva

proprio niente

gli è parso uno sproposito

questa sparata

e sbottando

come una vipera

grida al presidente.

Sono tanti anni

che sei presidente

e ti abbiamo sempre rispettato

ma volerci prendere in giro

questo proprio no,

compare Jacum.

Il presidente

cerca di fare

opera di persuasione

chiamando in causa

quel malgaro

con una grande barba

e che in tale campo

era un sapiente.

Ma Vitôr

sempre tanto tirchio

nel timore di dover pagare

dà ragione a Zef.

Un altro dà ragione a

Bortul.

Sta di fatto

che per la scrematrice

si prendono per il naso

tutti i consiglieri

Vedendosi perso,

il presidente

grida ai consiglieri:

Compari,

non litigate!

Rimandiamo la seduta

e cercheremo qualcuno

per farci spiegare.

Dopo qualche giorno

il presidente aveva trovato la soluzione.

Chi meglio di Don Tita 

poteva spiegare?

Era un prete

nato nel paese,

sapeva

molte cose

e poi

aveva delle mucche anche lui.

Di nuovo

si convoca il consiglio.

Le spiegazioni

di Don Tita

non sono sufficienti

a convincerli.

E’ impossibile

che dal siero

del formaggio

si produca

burro,

quando qualche volta

non si ottiene neanche la ricotta,

grida Zef.

Sempre più arrabbiato

chiama a suo sostegno

Bortul e Nardon,

che hanno rapporti

con i compari

Tita e Min.

E’ tutta una confusione.

Il presidente

con forza

riesce ad ottenere la calma.

Don Tita

può di nuovo parlare.

Credevo

che in questo paese

foste

uomini adulti!

Invece

ho trovato

bambini grandi

che non sanno

ancora ragionare.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 

Ancora 9

La stracheča

 

Duarmistu biel,

Nena….

Duarmistu biel?

Sonos oras da sveâmi?

Tu sâs ch’a mi tocja

jevâ as quatri

ogni di…..

Tu par me

no tu âs mai timp

Nena.

Doman Nena

tu mi clamarâs

as tre e mieğa.

Va ben, va ben

ma tu ievarâs.

Chicchiricchii.

Ieva, Meni,

a son las tre e mieğa

la astu da lâ

di chestas oras?

I tu âs simpri

di lamentâti

simpri di bruntulâ.

Nena! Nena,

i voi sberlotati

cu la lenga

dal cjâf

in ju.

 

 

La stanchezza

 

Dormi di già,

Nena....

Dormi di già?

Son queste le ore di svegliarmi?

Lo sai che devo

alzarmi alle quattro

ogni giorno....

Tu per me

non hai mai tempo

Nena.

Domani Nena

mi sveglierai

alle tre e mezza.

va bene, va bene

ma ti alzerai.

Chicchiricchii.

Alzati, Meni,

sono le tre e mezza

dove devi andare

a quest’ora?

Devi sempre

lamentarti

sempre brontolare.

Nena! Nena,

vorrei schiaffeggiarti

con la lingua

dalla testa

in giù.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 10

L’assistent sociâl

 

Las dôs asistenz sociâls

sot la trentina

crôt o no crôt

asàn divertît

dôs dozinas

di vecjos

sot e oltra la novantina.

A si cjata incjmò

int buina.

L’assistente sociale

 

Le due assistenti sociali

sotto la trentina

credilo o meno

hanno divertito

due dozzine

di vecchietti

al di sotto ed oltre la novantina.

Si trova ancora

buona gente.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 11

L’emigrato

 

Si chiama MattMark [1]

si chiama Marcinelle [2]

C’è un treno ogni giorno

che dal sud

porta in quell’inferno

gli emigrati.

Caserio lasciò il suo paesello

lasciò la mamma

e all’estero

andò con il suo fardello.

In cerca di lavoro e di fortuna.

Caserio non morì

nella miniera

venne colpito da mano

straniera.

Fu picchiato a sangue,

sul marciapiede fu gettato

da tre giovinastri ammazzato.

Gli assassini

a due anni condannati

Piangon di rabbia

gli emigrati.

 

[1] La catastrofe di Mattmark fu una valanga che il 30 agosto 1965 investì il cantiere per la costruzione della diga di Mattmark, in Svizzera. I morti accertati furono 88: 56 italiani, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci e un apolide.

Da Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Sciagura_di_Mattmark

 

[2] Il disastro di Marcinelle avvenne la mattina dell'8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio. Si trattò di un incendio che provocò la morte di 262 persone in gran parte emigranti italiani.

Da Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Marcinelle

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 

Ancora 12

Lat e fasûi

 

Gno von tal lûc di Melaria

su la strada par Monai

al veva un stalut

tacada una stanzuta

ca serviva da cusina.

Sentât di fûr

viers miesdì

al mangjava lat e fasûi.

Su la strada a si ferma

un’auto.

Un aveniment

dal milnufcent e vincjequatri.

Il conducent al dismonta

e lant viers di lui

ai domanda la strada

par Monai.

Viodint cè ch’al mangjava,

ai domanda:

Ce vêso ch’j mangjais?

Mieč par talian

mieč par furlan

ai rispuint:

Lat e fasoi

ai son molto buoni,

e se li magna

in tante maniere.

In jò … (jota)

In bo … (brodo)

In pagjè … (padella)

Quincià in salà … (insalata)

In mignè … (minestra)

Rustì … (in padella)

e se li magna anche col puign.

Latte e fagioli

 

Mio nonno nel luogo detto della “melaria”

lunga la strada per Monaio

aveva un piccolo stavolo

con annessa una stanzetta

che serviva come cucina.

Seduto all’esterno

verso mezzogiorno

mangiava latte e fagioli.

Sulla strada si ferma

un’auto.

Una novità

nel millenovecento e ventiquattro.

Il conducente scende

ed andando verso lui

chiede la strada

per Monaio.

Vedendo quel che mangiava,

gli chiede:

Cos’è che mangiate?

Un po’ in italiano

un po’ in friulano

gli risponde:

Lat e fasoi (latte e fagioli)

ai son molto buoni, (sono molto buoni)

e se li magna (si mangiano)

in tante maniere. (in molti modi)

In jò … (jota [1])

In bo … (brodo)

In pagjè … (padella)

Quincià in salà … (conditi in insalata)

In mignè … (minestra)

Rustì … (in padella)

e se li magna anche col puign.

(e si mangiano anche con le mani)

 

 

 

         [1] Per migliori delucidazioni sulla “jota” vedi:

         http://www.oggi.it/cucina/ricetta/jota-friulana-con-crauti-e-maiale/

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 13

Il coscrit

 

Ai son tornâz

i coscriz da visita.

Ai dismonta dal cjar

ta placia.

Franz,

al à so mari a spietâlu.

Franz,

anin a cjasa,

Cui sestu porca M…?

To mari

a non viôt âti:

E se porca la M….

Il fî cjoc:

Vàatin.

Scaleta ch’al sintiva:

ce aiel det Zenobia?

Al à det

porca M….

 

Ma nomo, nomo Zenobia.

Tu pos crodi

las ridadas di Scaleta

a fâ blestemâ

una femina

ch’a lava a comunicasi

ogni buinora.

Il coscritto

 

Sono tornati

i coscritti dalla visita di leva.

Sono scesi dal carro

in piazza.

Franz,

ha sua madre ad aspettarlo.

Franz,

andiamo a casa.

Chi sei porca M....?

Tua madre

non vedo più:

E se porca la M.....

Il figlio ubriaco:

vattene.

Scaleta che sentiva

cos’ha detto Zenobia?

Ha detto

porca M.....

 

Ma no, no Zenobia.

Puoi credere

le risate di Scaleta

nel far bestemmiare

una donna

che riceveva la comunione

ogni giorno

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985

Ancora 14

I gimui

 

Cui sonei

chèi doi gimui?

Nevôz dal Casson.

Ma di cuai?

Di Chei da cason.

Il Casson

al veva dôs fias;

una à tolet

so cusin

fî di un fradi

dal Casson;

cheata inveza

à sposât

un di chei

dal cason

e i gimui ai son

nevôz dal Casson.

I gemelli

 

Chi sono

quei due gemelli?

I nipoti dal Casson *.

Ma di quali?

Di quelli dal cason *.

Il Casson

aveva due figlie;

una ha maritato

suo cugino

figlio di un fratello

del Casson;

l’altra invece

ha maritato

uno di quelli

dal cason

e i gemelli sono

nipoti del Casson.

 

 

        * Casson: nomignolo

        * cason: località di Zovello

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985

Ancora 15

Sora pinsîr

 

Comari

ce ch’and’è

cha sunin las cjampanas?

Al è muart

il Signôr.

O sa po iesi

i no vevi

mai sintût

cal seti stât malât.

Distrazione

 

Comare

cos’è successo

che suonando le campane?

E’ morto

Gesù.

Come,

non avevo

inteso

che fosse ammalato.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 16

Min e Tin

 

Quant ch’ai lava a

sunâ

Min cul liron

Tin cul viulin,

a noj voleva la paja

ma ai beveva

dîs litros di vin

cenča contâ

quatri gros

fra Zenziglio e Macubin.

Cemût erie?

No si sa?

Ma plui ai beveva e tabacava

 e miôr ai sunava.

Ai era doi fradis

comunisc’.

Un omenon Min

un tic plui mingherlin Tin.

Quant che dal vincjedoi

a ju àn puartâz

ta plača

par daur il quart

dal vueli di riz

lecansi i âvris

ai domanda la ğonta

e ai ringrazia i fasisc’.

 

Doi brâfs muradôrs,

ma par lôr

lavôr nond’era!

Cussi ai si cjapava

quant ch’ai podeva

fra tabacs

vin

lirons e viulins,

par para via

la rabia,

la miseria di

setemanas,

mês,

aigns

ingrumada tal stomi

ch’a sameava

no vê âti fin.

La guera da l’abisinia

e da Spagna

à metût fin

encja a chês

sunadas.

Prima da murî

di fan

chei biâz ğovins

si metin in nota

par partî

seti mo soldâz

contadins

o milizians.

Cussì ai son restâz

disocupâz

encja i sunadôrs

Min e Tin.

Min e Tin

 

Quando andavano a

suonare

Min con il contrabbasso

Tin con il violino,

non accettavano denaro

ma bevevano

due litri di vino

senza considerare le

quattro confezioni

fra Zenziglio e Macubin [1].

Ma come?

Non si sa?

Ma più bevevano e sniffavano tabacco

e meglio suonavano.

Erano due fratelli

comunisti.

Di grande stazza Min

un po’ più mingherlino Tin.

Quando nel ventidue

li hanno portati

sulla pubblica piazza

per costringerli a bere

l’olio di ricino

leccandosi le labrra

hanno chiesto il bis

ringraziando i fascisti.

 

Due bravi muratori,

ma per loro

lavoro non c’era!

Così si trovavano

quando potevano

fra tabacco

vino

contrabbassi e violini

per allontanare

la rabbia,

la miseria di

settimane,

mesi,

anni

ammassata nello stomaco

che sembrava

non aver mai fine.

La guerra dell’Abissinia

e della Spagna

ha messo fine

anche a quelle

melodie.

Prima di morire

di fame

quei poveri giovani

si mettono in lista

per partire

o come soldati

contadini

o miliziani.

Così sono rimasti

disoccupati

anche i suonatori

Min e Tin.

 

 

       [1] tabacchi da fiuto di a1ta qualità della regìa italiana

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 17

La busa

 

Faila granda avonda

che busa,

si no doman a è fadia

a meti denti

la cassa …

Maledetas las lengatas!

A no san

ce ch’a vûl dî

fâ una busa

di un metro e otanta.

Maledeta la miseria

no podaressino

murî d’astât

chesta int?

Zelmo,

tu às fat

pôc in sot

che busa.

Encja tu

sacrament!

 E po

sastu ce ch’j ài

da dîti….

S’al scjampa

j rispuint jò.

La fossa

 

Scavala larga al bisogno

la fossa,

altrimenti domani si fa fatica

a calare

la bara.....

Maledette lingue!

Non sanno

cosa vuol dire

scavare una fossa

di un metro e ottanta.

Maledetta la miseria

non potrebbero morire

d’estate

questa gente?

Zelmo,

hai scavato

poco

quella fossa.

Anche tu

sacramento!

E poi

sai cosa devo

dirti....

Se scappa

io ne rispondo 

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 18

La politica

 

Ce si podie fâ

Cemôt insegnâ?

Quant che mil insidias

a son in ogni moment

prontas a disfâ.

Cemôt che biada int

podie tirasi fûr

fra religions e partîz

sanz e deputâz

sindacâz e senatôrs

predis ch’a no si conossin âti

ben tosâz e barbirâz

vistîz encja in clâr.

Fraris ch’ai son tant

che Casanova.

Muinias al pari

che las Miss

cu l’auto

e vistidas a stris

Cardinâi e gjenerâi

regjstas e scritôrs

cjantanz e atôrs

professionisc’ di ogni sorta.

Governos e ministeris

cun centenârs di comissions,

istitûz

par tantas delusions

Radios e televisions

motos e autos

vilas e autostradas

vistîz e scarpas

di ogni colôr

par colpa dal diaul?

O dal Signôr.

La politica

 

Cosa si può fare

Come insegnare?

Quando mille insidie

sono ad ogni momento

pronte a tutto distruggere.

Come può, quella povera gente,

prender coscienza

fra religione e partiti

santi e deputati

sindacati e senatori

preti che non si riconoscono più

ben sistemati

vestiti anche in chiaro.

frati che sono come

un Casanova.

Monache alla pari

delle Miss

con l’auto

e vestite alla moda

Cardinali e generali

registi e scrittori

cantanti ed attori

professionisti di ogni sorta.

Governi e ministeri

con centinaia di commissioni,

istituti

per tante delusioni

Radio e televisioni

moto ed auto

ville e autostrade

vestiti e scarpe

di ogni colore

per colpa del diavolo?

O del Signore.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 19

L’ingiustizia

 

Pari,

parce no compristu una volta

un tic di pan?

I fîs dal maestri

da coperativa

chei dal becjâr

chei dal tabachin

chei dal farmacist

e i doi dal segretari fassist

ai lu comprin ogni dì.

A scuela

ai puarta las neranzas

e i mandarins.

Santissima Trinitât,

esel pussibil mo,

cun chel cjalčumit

ch’j vin a Roma

sostignût da chelâti

ch’al si fâs viodi

a puartâ

la mantelina di ermelin

capistu frut

la mantelina

e il cuarpet ros

e al vent

ostias consacradas.

Cui podial comprâ

pan?, pan!

Tar chei paîs a cuenti

tu viôz!

Chei ch’ai àn la vacja

ce fadias ch’ai fâs

par mantegnila

e dopo?

Ai scuignin

vendi la spongja

par comprâ gras di manč,

vendi l’ûf di gjalina

par comprâ mortadela.

A vûl il bolscevismo!

Il bolscevismo,

capistu frut.

Sinò nissun tira via

chei farabuz.

Al era alc

se Zaniboni qualchidun

al ves smirât

un tic plui just!

L’ingiustizia

 

Papà,

perchè non mi comperi almeno una volta

un po’ di pane?

I figli del maestro

della cooperativa

quelli del macellaio

quelli del tabacchino

quelli del farmacista

e i due del segretario fascista

lo comperano ogni giorno.

A scuola

portano le arance

e i mandarini.

Santissima Trinità,

è possibile,

con quello spazzacamino

cha abbiamo a Roma

sostenuto da quell’altro

che si fa vedere

a portare

il mantello di ermellino

capisci figlio

il mantello

e il corpetto rosso

e vende

ostie consacrate.

Chi può comprare

pane? pane!

Nei nostri paesi

lo vedi!

Quelli cha posseggono la mucca

quante fatiche fanno

per mantenerla

e dopo?

Devono

vendere il burro

per comprare sego di bue,

vendere l’uovo della gallina

per comprare mortadella.

Ci vogliono i bolscevichi!

I bolscevichi,

capisci figlio.

Altrimenti nessuno manda via

quei farabutti.

era già qualcosa

se Zaniboni[1]

avesse mirato

un po’ più preciso!

[1] Tito Zaniboni (Monzambano, 1º febbraio 1883 – Roma, 27 dicembre 1960), noto per aver organizzato il primo fallito attentato contro Mussolini il 4 novembre 1925. Alla caduta del fascismo ricoprì l'incarico di Alto commissario "per l'epurazione nazionale dal fascismo". Da Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Tito_Zaniboni

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985

Ancora 20

Il cancar

 

Al à di jessi riunda

cjargnela.

Prima incjmò ch’a lu si conosses

nô cjargnei si diseva:

tu sês un cancar.

Nol è di dî

ch’al vebi un debul

magari viers qualchi biela fruta

o movisi in compassion

di front di un vecjut

di lui duc’ ai àn pora dapardut.

 

Ai àn encja cerût

di cambiâi nom

par no fâ tanta pora.

Tumôr, carcinoma, massa nera.

And’è di tantas razas

benigns e maligns

ch’ai son setasi

o metastasi

di prin, second o tierč grât

tancu la gjerarchia militâr.

Al ti beca, al ti fâs ghizi

al balina par di ca

 o par di là,

secont il propri gust

cenča vê pietât

e par no dâte

incjmò vinta

al si contenta a murî

cun te.

Plui cancar di cussì.

A mi è capitât

di scuintrâlu

tal ambulatori di un otorino

dopo siet vot mês ch’ai lu cerivint

sora il nâs

devûr las vorelas

sot las gramulas

cun ogni qualitât di impresc’

e machinaris

fin cul cjâf

tar una granda lavatrice

clamada TAC,

ch’a vûl sorta di professors

par dâj il contat.

A la fin al ti capita fûr

cenča scomponissi

como par dîti piu, piu.

 

Là ch’a si è scuviert

crodint di fâla portâ

ai à metût man:

un toc di om,

un otorino, un metro e novanta

mans como chês dai menaus

al veva parecjât una podina

tra pinzas e fuarfis

tanajas cui dinc’

pugnai curtis e rosôrs

manečas e mascaras su pa musa,

aiutanz di ogni banda.

J ài pensât fra di me:

in cinc minûz lu fasin fûr.

Dopo siet oras ai vevin

quasi copât l’om.

E il cancar non si sa.

Il cancro

 

Deve essere di origine

carnica.

Prima ancora che lo si conoscesse

noi carnici si diceva:

sei un canchero.

Non è da dire

cha abbia un debole

magari verso una bella ragazza

o moversi a compassione

di fronte ad un vecchietto

di lui e dappertutto tutti hanno paura.

 

Hanno anche cercato

di cambiargli il nome

per non provocare tanta paura.

Tumore, carcinoma, massa nera.

Ce ne sono di tanti tipi

benigni e maligni

che sono secondari

o metastasi

di primo, secondo o terzo grado

come la gerarchia militare.

Ti punge, ti solletica

va di qua

o di là

con le proprie preferenze

senza aver pietà

e per non dartela

vinta

si accontenta di morire

con te.

Più canchero di così.

Mi è capitato

di incontrarlo

nell’ambulatorio di un otorino

dopo sette otto mesi che lo cercavano

sopra il naso

dietro le orecchie

sotto le mascelle

con ogni qualità di attrezzature

e macchinari

persino con la testa

in una grande lavatrice

chiamata TAC,

che necessita di professori

per farla funzionare.

Alla fine si palesa

senza scomporsi

come per dirti piu, piu.

 

Là dove l’avevano trovato

da presuntuosi

gli hanno messo mano:

un pezzo d’uomo,

un otorino, un metro e novanta

mani come quelle dei boscaioli

aveva preparato una bacinella

con pinze e forbici

tenaglie con i denti

pugnali coltelli e rasoi

guanti e maschere sulla faccia,

aiutanti da ogni parte.

Ho pensato:

in cinque minuti lo fanno fuori.

Dopo sette ore avevano

quasi ucciso l’uomo.

E il cancro non si sa.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 21

Las letaras

 

Bepo

scrîf a Vigj

ch’al mandi i bêz

da comprâ il purcit,

sinò chest invier

no si cuinča la mignestra.

Dami la direzion, Mariana.

Vigj Rumor

San Gjàl Svizera.

Cjara Mari,

J su ài mandât

i bêz

l’an pasât

par comprâ il purcit,

j podevis tignîlu da cont

ch’al era cussi biel

e no copâ chel grant

par toli un pičul.

Sint po Bepo,

a disin

che la Svizera

a è tant indevant

ma a Vigj

ai àn insegnât

lafè pôc!

Le Lettere

 

Bepo 

scrive a Vigj

che invii soldi

per comprare il maiale,

altrimenti questo inverno

non si condisce la minestra.

Dammi l’indirizzo, Mariana.

Vigj Rumor

San Gallo Svizzera.

Cara mamma,

vi ho inviato

i soldi

l’anno scorso

per comperare il maiale,

potevate tenerlo bene

che era così bello

e non macellare quello adulto

per prenderne uno piccolo.

Senti Bepo,

dicono

che la Svizzera

è molto avanti

ma a Vigj

hanno insegnato

ben poco!

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985

Ancora 22

L’ors di Pani

 

L’ors di Pani

al ti plantava

doi vôi ta musa

como doi stiz impiâz;

sul cjâf

al veva plui fen

che cjavèi,

la barba rossita

plena di picusei.

Pazienza di dì,

ma di ogni ora encja di not

chei da Garibaldi

o chei dal Osôf

lu fasevin jevâ

magari a son di blestemas

ma a duc’

al dava alc

da mangjâ.

L’orso di Pani 

 

l’orso di Pani *

ti guardava in faccia

con i suoi occhi

come due brace ardenti;

sulla testa,

aveva più fieno

che capelli,

la barba rossiccia

piena di escrescenze.

Era accettabile durante il giorno,

ma ad ogni ora anche di notte

quelli della Garibaldi

o quelli dell’Osoppo

lo facevano alzare

magari con le bestemmie

ma a tutti

dava qualcosa

da mangiare.

 

 

        * Vedi Wikipedia:  

        https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Zanella

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985, nel libro dell’Aprile 1988 e in "Carnia Libera 1944" (Op. cit.)

Ancora 23

Il Partigiano

 

Siamo tutti fratelli

siamo tutti compagni

combattiamo da prodi

perché siam partigiani

 

ci chiaman ribelli

perché non vogliam

della loro patria

esser zimbelli

 

Con il nostro coraggio

e senza tante mitraglie

liberiamo il popolo dalle canaglie

 

Vogliamo l’Italia

liberar dall’invasore

perché il suo popolo

abbia un domani migliore.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985

Ancora 24

La baita

 

Cjavai cun sperons

plantâz ta panza

cjans ringhiôs

cu la bocja spalancada

mitraglias impuestadas

siabulas tar una man,

fusii, mitras, parabei

tar cheâta

pronz par fâju fûr

i ribei.

Caricaa!!!

Ai si scjadena

i Cosacs

che cuant ch’ai son a cjaval

sono como maz.

La pičula baita

trasformada

cui propri cuarps

in fuartin

a si difint

ma no si rint.

Circondada,

cjapada d’asalt,

fra colps,

strissas di fûc

crasuladas di mitraglia,

la nêf ch’a si disfâs

e i cjavai

che bielğa a si ritira

dopo l’assalt.

Bisugna entrâ,

âti no si pos fâ.

Di denti!

No una vôs,

no un lament,

nencja quant

che las flamas

as juda l’alba

a vegni dì

tre partigjans

son crivelâz.

Doi ferîz a vegnin

cjapâz:

ai saran fusilâz

in preson,

dopo jessi jessûz vuarîz

da l’ospedâl.

La baita

 

Cavalli con speroni

conficcati nella pancia

cani ringhiosi

con la bocca spalancata

mitraglie appostate

sciabole in una mano,

fucili, mitra, parabellum

nell’altra

pronti ad ammazzarli

i ribelli.

Caricaa!!

Si scatenano

i Cosacchi

che quando sono a cavallo

sembrano dei matti.

La piccola baita

trasformata

con i propri corpi

in fortino

si difende

ma non si arrende.

Circondata,

presa d’assalto,

fra colpi,

strisce di fuoco

crepitii di mitraglia,

la neve che si scioglie

e i cavalli

che già si ritirano

dopo l’assalto.

Bisogna entrare,

altro non si può fare.

Dentro!

Non una voce,

non un lamento,

neanche quando

le fiamme

aiutano il sorgere

dell’alba

tre partigiani

sono crivellati.

Due feriti sono

catturati:

saranno fucilati

in prigione,

dopo essere usciti guariti

dall’ospedale.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985, nel libro dell’Aprile 1988 e in "Carnia Libera 1944" (Op. cit.)

Ancora 25

La Republica di Cjargna

 

La Republica di Cjargna

a era in genoglon;

chesta volta

a ju fasin murî di fan

par dabon.

No j vevin però

fat i conz

cun châta resistenza

ch’as era

las maris

las sûrs

las murosas

e tantas, tantas

âtas feminas

in ogni paîs;

che, batint

ogni troi,

ogni strada

cun logjâs e cun cjars,

su trenos e camions,

dai stes Todescs

girin in lunc e in larc

dut il Friûl,

baratant il propri coredo

umiliansi

a cerîr la caritât

suplicant

un puign di farina da polenta

che purtrop

da tanc’ di lôr

a vegniva neada

sbonbantsi

se la Cjargna

era martoriada.

Metudas a provas

spaventosas

chês biadas feminas

dut as acetava

pur di podê

tornâ al paîs

a sfamâ

chei ğovins ch’ai sietava.

Tar una busa,

tar una baita

dulà che encja la nêf

a faseva la spia

mostrant la ferada.

La Repubblica della Carnia

 

La Repubblica della Carnia

era in ginocchio;

questa volta

li fanno davvero

morire di fame.

Non avevano però

tenuto conto

dell’altra resistenza

fatta

dalle madri

le sorelle

le morose

e tante, tante

altre donne

in ogni paese;

che, percorrendo

ogni sentiero,

ogni strada

con slitte e carri,

su treni e camion,

degli stessi Tedeschi

girano da ogni parte

per tutto il Friuli,

barattando il proprio corredo

umiliandosi

a chiedere la carità

supplicando

un pugno di farina di granoturco

che purtroppo

da tanti di loro

era negata

indifferenti

se la Carnia

era martoriata.

Messe di fronte a prove

spaventose

quelle povere donne

tutto accettavano

per poter

tornare al paese

a sfamare

quei giovani che aspettavano.

In un buco,

in una baita

dove anche la neve

faceva la spia

palesando l’orma.

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985, nel libro dell’Aprile 1988 e in "Carnia Libera 1944" (Op. cit.)

Ancora 26

I Carbinîrs

Àstu cjapât pôra mari?

 

Ai era encja i

carbinîrs!

Astu cjapât pôra,

Mari?

A mi è passada

ma ai àn det

ch’ai torna a ceriti,

e ch’i tu riscjas la fusilazion

s’ai ti cjapa.

Ai era encja i carbinîrs!

Astu cjapât pôra, Mari?

Viôt ca no ti cjapi!

Cheata guera

chei carbiriraz,

ai fusilava

chei biâz soldâz

plens di fan,

plens di pedói,

duc’ sbregâz

ch’ai si ritiravin dal front

dopo ch’a era stada la rota.

Jo  j ài pôra

di chei carbiniraz

a no j son da nesta int.

 

(Dicembar 43)

 

 

Astu cjapât pôra,

Mari?

Domanda la int dal paîs.

And’era un camio di

Inglês,

un camio

di Polizia

e un camio di carbiniraz.

And’è stâz di ogni raza

in chesta cjasa.

Fassisc’ e Todescs,

Mongui e Cosascs

ma no mi àn fat

tanta pôra e rabia di vuê.

Ai àn tirât su

las breas dal palment

da to cjamera,

ai cerivint armas.

Un carbinirat

parcé ch’j ài vosât,

al mi à menaciada

di puartâmi “al fresco”

dopo tantas ch’jnd’ai provadas.

Maladez chei carbiniraz.

Tu âs da presentati dai carbinîrs

in caserma?

Chei ai ti metin

un’âta volta in preson!

Dopo dut ce ch’j tu às fat!

Ma jo j voi ju

cu la manaria

di chei carbiniraz.

Tu às reson Mari,

dibant no ju clamin

“Fratelli Branca.”

Dibant

a no j àn

la flama ta bareta

como il cit

ch’a si impia ta strada

par segnâ

il pericul.

No incjmò contenz

ai ti àn portât via

la gjacheta di partigjan,

las scarpas,

il telo inglês

ch’j tu vevas di fâti i bregons.

Cumò j no tu às nuia

da meti da disdivôra!

Jò j ju ài odeâz

j no pos jòdiu

chei carbiniraz.

 

(Agosto 45)

I Carabinieri

Hai avuto paura mamma?

 

C’erano anche i

carabinieri!

Hai avuto paura,

Mamma?

Mi è passata,

ma hanno detto

che ritorneranno,

e che rischi la fucilazione

se ti prendono.

C’erano anche i carabinieri!

Hai avuto paura, Mamma?

Stai attento, possono catturarti!

Nell’altra guerra

Quei carabinieri,

fucilavano

quei poveri soldati

affamati,

pieni di pidocchi,

tutti stracciati

che si ritiravano dal fronte

dopo lo sfondamento.

Io ho paura

di quei carabinieri

loro non sono dei nostri

 

(Dicembre 43)

 

 

Hai avuto paura,

Mamma?

Chiedi alla gente del paese.

C’era un camion

di Inglesi,

un camion

di Polizia

e un camion di carabinieri.

Ci son stati di ogni razza

in questa casa.

Fascisti e Tedeschi,

Mongoli e Cosacchi

ma non mi hanno fatto

tanta paura e rabbia come oggi.

Hanno sollevato

le assi del pavimento

della tua camera,

cercavano armi.

Un carabiniere

poiché ho alzato la voce,

mi ha minacciato

di portarmi “al fresco”

dopo tutto quello che ho passato.

Maledetti quei carabinieri.

Devi presentarti dai carbinieri

in caserma?

Quelli ti mettono

un’altra volta in prigione!

Dopo tutto quello che hai fatto!

Ma io vado giù

con la scure

da quei carabinieri.

Hai ragione Mamma,

per niente non li chiamano

“Fratelli Branca.”

Per niente

non hanno

la fiamma sul berretto

come la lanterna

che si accende

per segnalare

il pericolo.

Non ancora contenti

ti hanno requisito

la giacca di partigiano,

le scarpe,

il telo inglese

con cui dovevi cucirti i pantaloni.

Ora non hai più niente

da metterti nei giorni feriali!

Io li ho odiati

io non li posso vedere

quei carabinieri.

 

(Agosto 45)

Pubblicata nel libro del Dicembre 1985 e nel libro dell’Aprile 1988

Ancora 27
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