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Zovello, 14 Febbraio 1991

Canto Funebre - Sigurd Islandsmoen
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Mi è stato affidato il compito di commemorare la figura del compagno Miro, di porgergli l’estremo saluto.

Altri, che hanno avuto la fortuna di conoscerlo più a lungo e più a fondo di me, avrebbero assolto meglio questo compito.

Con loro mi scuso, certo che anche Miro mi perdonerà se incorrerò in qualche involontaria imprecisione.

Abbiamo conosciuto Miro poco meno di vent’anni fa, a Trieste; studenti noi e lui già uomo maturo; uomo maturo, ma non rassegnato, disincantato ed entusiasta, curioso, capace di rapporti umani autentici; per molti di noi, non ho paura a dirlo, una figura di padre, partecipe e discreto.

Non credo sia stato il caso a farcelo incontrare. Quell’incontro è stato semmai il frutto della sua sensibilità politica.

Miro aveva delle cose da dire alla generazione che seguiva la sua. E’ per questo che ci ha cercati e che ci ha trovati.

Ricordate! Era la stagione in cui impiantavamo i Circoli Operai; una stagione piena di slanci, ma anche di fatica.

E Miro ci è stato a fianco, con il suo stile inconfondibile, con la sua generosità, con la sua attenzione alle idee e agli uomini, senza scindere mai le une dagli altri, anzi cercando, quasi pretendendo, che ci fosse estrema coerenza tra quelle e questi.

E quindi un incontro non casuale nè futile, il nostro incontro con Miro.

Del resto Miro veniva davvero da lontano!

Nato tra queste aspre e belle montagne aveva conosciuto, giovanissimo, il lavoro e la fatica a Milano (e, a suo dire, anche un colossale appetito).

Poi la guerra, in Albania e altrove. E poi ancora la stagione partigiana, qui nella sua Carnia; una esperienza che lo segnò, certo una svolta politica nei suoi giovani anni.

E poi l’emigrazione in Svizzera, e là l’impegno politico nel PCI, e l’impegno sindacale.

Maturò in quegli anni un profondo disagio per un modo di fare politica che sentiva completamente estraneo agli interessi della propria classe.

Quando, agli inizi degli anni ’70, rientrò in Italia, era alla ricerca di un punto di riferimento affidabile, a cui collegarsi e a cui portare il bagaglio di esperienze di un trentennio di riflessione e di pratica politica.

L’incontro con LOTTA COMUNISTA segnò per lui, come per noi, il riconoscimento di una forza politica credibile nelle cui fila era possibile ed utile riprendere il proprio posto di militante.

E Miro riprese il suo posto con molta modestia e con molta determinazione. Fu uno dei pochi adulti ad accettare senza rimostranze il lavoro politico minuto, si, ma necessario che l’impianto dei Circoli Operai comportava.

Da allora fu con noi, nei momenti belli, ma anche in quelli più difficili. L’ultima volta fu a dicembre [1], in occasione del venticinquesimo di Lotta Comunista.

Volle esserci, anche se il male ormai non gli dava tregua, e volle esserci per ribadire la sua appartenenza a pieno titolo alla nostra organizzazione, al partito di classe.

Ho detto della sua appartenenza a pieno titolo al partito di classe, e l’ho detto con cognizione di causa, con piena convinzione.

Miro infatti è stato uomo di teoria e uomo di azione, in ciò seguendo la linea della tradizione marxista. Come diceva Wilhelm Liebknecht, organizzatore del movimento operaio tedesco della fine del XIX secolo: “Se rinunciamo alla lotta, alla lotta politica, rinunciamo all’educazione e al sapere”.

Uomo di teoria perchè quel suo continuo interrogarsi e riflettere che ha trovato espressione nelle sue poesie, è stata la sua maniera di mettere ordine nelle sue esperienze, di sottolineare gli aspetti forti, di secernere il senso che andava assolutamente conservato e trasmesso. Proprio come lui volle: “Par no dismenteâ, e par cjalâ indevant”.

Questo lo scopo delle sue riflessioni in versi.

Se le rileggiamo con attenzione, vi scopriamo questo suo assillo di comunicare, di trasmettere il significato della sua esperienza, e non per ambizione personale, ma per doverosa responsabilità nei confronti di coloro che venivano dopo di lui.

In questo senso Miro ha sviluppato un senso alto, non convenzionale della paternità.

Eppure Miro ci fu anche compagno, non solo discreto e silenzioso maestro. Ci fu compagno nel riconoscimento della necessità di agire concretamente per rendere operante, per rendere efficace l’organizzazione della nostra classe.

Ma anche combattendo la sua ultima battaglia, la sua battaglia contro il cancro, Miro ci ha insegnato qualcosa.

Ci ha insegnato una estrema dignità nel vivere la malattia.

Ci ha insegnato a collocarla in una dimensione non totalizzante, a relativizzarla, a tenerla a bada con l’arma dell’ironia. Così gli fu possibile accettarla per quanto difficile e doloroso fosse il convivere con la sua ingombrante e pervadente presenza.

La morte di Miro ci rattrista, ci rattrista profondamente; non ci getta però nella disperazione.

Siamo infatti consapevoli che egli è stato un anello utile, un anello che non ha ceduto, nella catena della generazione.

A quell’anello saldo che fu Miro possiamo dunque collegarsi con fiducia e con serenità. E così che Miro si è assicurata la sua continuità nel tempo, al di là del suo tempo.

Consentitemi compagni di chiudere questa mia commemorazione con alcune parole di Miro, con le parole che egli dedicò a sua madre, e che noi oggi, riconoscenti, a lui dedichiamo:

 

Cui podarae mai

conossila a fonz?

In tal so cûr

a siera das voltas

monz interias

di dolôr.

Quâl dal so sanc

podarae cjalâla

cun vôi di disonôr?

E cui su la cjera

podarael mai dâj

il just compens?

E cui podarae mai tornâj

il so sanc?

Il so grant amôr,

dutas las sos agrimas?

E pur cun quâl

coragjo

a rivolč incjimò

il sguart al passât.

E cun quâl

tremenda ansia

a cjala ogni tant

sora las monz

viers il cîl.

 

Mandi Miro !

 

Roberto De Biaggio 

 

[1] 1990 a Udine

Impara a non essere nè inglese, nè francese, nè ebreo, nè cristiano, ma semplicemente un uomo libero.

 

Diderot

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