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Cenni biografici

Primo di tre figli (Ernesta n. 3 Settembre 1920 + 7 Novembre 2007; Anastasio (n. 5 Maggio 1924 + 13 Febbario 1969), Casimiro De Colle (detto Miro) nacque a Zovello (frazione di Ravascletto - UD) il 5 Giugno 1918, da Angelo (della famiglia Cragnul) (n. 4 Luglio 1877 + 7 Giugno 1944) e Barbacetto Olimpia (della famiglia Fuga) (n. 12 Agosto 1894 + 19 Gennaio 1984). Nei suoi scritti, al suo 48° compleanno, annota:

 

Almeno da come dice mia madre sono nato … alle 5 del mattino. Ero bastardo in quanto mio padre si sposò ancora dopo un anno dalla mia nascita perché era militare e nel ’18 al paese natio c’erano gli Austriaci e i Tedeschi, cioè l’invasione”.

 

Il paese Zovello (nella parlata carnica del luogo: Žuviel, pron. Giuviel) è situato a solatio a 921 metri di altitudine, sulle pendici del monte Valsecca del gruppo del monte Crostis. La vallata, percorsa dal torrente Gladegna, affluente del fiume Bût, comunica con la Valcalda (Volcjâlda, Valcjalda), ove è situato il capoluogo Ravascletto, attraverso la Sella omonima. Il paese, originariamente assegnato al Comune di Cercivento entrò a far parte del Comune di Ravascletto nel 1815.

Questi, comprendente Zovello, Salars ed il capoluogo con le borgate di Stalis e Palù, nel 1921 contava 1797 abitanti dediti prevalentemente all’agricoltura ed allevamento di sussistenza, al lavoro di boscaioli, e all’emigrazione. Una realtà dunque prevalentemente caratterizzata per i più dalla miseria cronica aggravata dalle situazioni belliche con invasioni prima degli Austriaci dopo la rotta di Caporetto (molte famiglie a quel tempo furono profughe), poi dai Cosacchi e Tedeschi.

Attualmente la popolazione del Comune è di 553 abitanti di cui 186 risiedono a Zovello

Mappa ubicazione Zovello

Mappa Comune di Ravascletto

Zovello anni ’30: poche case e molti abitanti

Zovello anni ’80: tante case e pochi abitanti

In questa realtà venne alla luce Miro, e lo scrive nei suoi appunti:

 

… penso a mia madre come deve aver fatto ad allevarmi il 1° anno, cioè nel ’18 con l’occupazione austriaca, quando si macinava il tutolo di granoturco assieme alle bucce dei fagioli per fare la polenta”.

 

Nella scuola elementare, tutt’ora presente nella piazza principale del paese, compì gli studi elementari e negli anni 1929-1932 seguì la Scuola di Disegno Professionale a Ravascletto (Direttore Domenico Romano). Il diploma conseguito al terzo anno di corso porta la data del 1° Novembre 1932.

Famiglia De Colle (Cragnul). Da sinistra: Ernesta, Angelo (padre), Anastasio, Barbacetto Olimpia (madre), Casimiro (Miro)

Il 21 Dicembre dello stesso anno, a 14 anni, con il padre sbarca a Bastia in Corsica lavorando nella bonifica delle paludi in cui le “zanzare oscuravano il sole”; le stesse zanzare che ritroverà molti anni dopo come paracadutista.

Negli anni 1933-1934 in Francia, sempre con il padre, lavorando come manovale in paesi di montagna:

 

… si faceva tutto a mano; la sera dopo 10 ore di lavoro non riuscivo nemmeno a portare il cucchiaio in bocca tanto mi facevano male le braccia”.

Passaporto del 1932 per l’emigrazione in Francia

Negli ultimi mesi del ‘34 si trova a Milano e l’8 Aprile 1935, come da libretto di lavoro, è assunto presso la Ditta G. Feletti & C. sita in Via Candiani 23. Era un fabbrica di cornici:

 

si lavorava anche 18 ore su 24; per tre anni in qualità di guardia di notte e apprendista sulle macchine, poi per un altro anno e mezzo come operario”.

 

Nel ’36, a 18 anni, segue i corsi premilitari obbligatori imposti dal regime guadagnandosi alcune denunce e segnalazioni (nel 1936 denuncia per insulto alla Milizia Stradale per essersi rifiutato di pagare una multa di L. 10,10 mentre era in bicicletta, e da parte della Milizia Nazionale per non aver partecipato ai corsi premilitari; nel 1939 segnalato al segretario politico per non aver partecipato al pranzo offerto dal Comune alle reclute in partenza per il servizio militare). La cessazione del lavoro data 11 Marzo 1939 con qualifica di falegname. Nelle bevute in compagnia ricorderà sempre con nostalgia la vita milanese nonostante il lavoro, la stanchezza e la fame.

Milano, 1936

Milano, 1937

Milano, 1938

Il 4 Aprile 1939 è recluta militare al Distretto di Sacile per essere poi dislocato a Cividale nel Corpo della Guardia alla Frontiera (GAF). Dopo aver partecipato per un breve periodo nel 1941 alle operazioni di guerra presso il fronte italo-iugoslavo e soggiornato per alcuni mesi a Udine, nel marzo del ’42 si imbarca a Bari per l’Albania ove rimane fino al 13 Settembre.

Rientrato in Italia segue i corsi di paracadutismo a Pistoia, Tarquinia, Lucca e quindi, aggregato alla Divisione Nembo nel marzo del 1943, si imbarca per la Sardegna. Il 9 Settembre, il giorno dopo la proclamazione dell’armistizio, aviotrasporato, sbarca a Pisa. Presso Ardea dopo alcuni giorni riesce ad allontanarsi iniziando il lungo cammino di ritorno al paese dove giunge nel febbraio del 1944.

Per alcuni mesi si dà alla macchia in quanto ricercato dai tedeschi e repubblichini come disertore. Nel Giugno ’44 entra nelle fila partigiane della Divisione Osoppo-Friuli, Btg. Monte Canin, prima come informatore e poi come combattente nella zona di Tramonti con la qualifica di Comandante di Compagnia. Partecipa alla battaglia del Monte Rest (16-17 Ottobre 1944) dove trovano la morte alcuni suoi compagni, fra cui Giobatta Da Pozzo (Folgore) di Ravascletto che l’aveva reclutato. Riesce a sganciarsi e ritornare quindi a Zovello per darsi ancora alla macchia con altri compaesani. Ricordava la madre che varie volte si inoltrava nei boschi con la gerla per portare loro dei viveri; anche quando nevicava, con gli zoccoli (las ciuculas) per non dare nell’occhio alle spie e fascisti. Solo che nel sentiero per la neve gli zoccoli rimanevano attaccati al terreno e il piede, ricoperto dalle sole calze di lana di pecora, come usavano un tempo, al successivo passo sprofondava nella neve. L’unica soluzione era di “trai las ciuculas tal gei e lâ in pidui” (mettere gli zoccoli nella gerla e proseguire scalzi).

Riporta nel suo diario (vedi la sezione Diario - “Dai corsi premilitari al plotone di esecuzione” in cui le notizie nel periodo dal 1939 ai primi di maggio del ’45 sono riportate con maggior dovizia di particolari) che per il freddo e la fame e nell’illusione di non incorrere in qualche rappresaglia, con i suoi compagni fa rientro in paese. Speranze vane: nel febbraio del ’45 viene imprigionato dai cosacchi con altri partigiani sia dell’Osoppo che della Garibaldi insieme ad altri giovani considerati vicini al movimento partigiano. Per circa un mese rimasero prigionieri con continue richieste di consegna delle armi pena il trasferimento al comando tedesco con possibile deportazione nei campi di concentramento in Germania. Di fronte a tale prospettiva Miro, in accordo con i compagni prigionieri, cede consegnando le armi con successiva liberazione.

Per alcuni mesi, ed in attesa della primavera (si sa l’inverno del ’44 sembrava non finisse mai) rimane in paese sempre sotto il controllo delle pattuglie cosacche, e quindi, dopo aver ripreso le armi nascoste in quel di Tramonti, si aggrega di nuovo al Btg Monte Canin dislocato nell’alta Val Degano, a Forni Avoltri. La liberazione era vicina: i cosacchi alla fine di Aprile abbandonano Forni Avoltri, Rigolato, Comeglians. Il 1° e 2 Maggio si scatena la battaglia di Ovaro in cui il Nostro viene fatto prigioniero e rischia la fucilazione. Grazie al sopraggiungere di un Generale cosacco viene risparmiato assieme ad altri prigionieri e tenuto come ostaggio nella ritirata verso Comeglians, Ravascletto, Paluzza. Nel passare lungo la strada sotto il paese di Zovello, con le mani legate dietro la schiena, la madre sul pendio che costeggia la via, aggrappata ad un arbusto, incrocia i suoi occhi, senza dire una parola, trasmettendogli in quel silenzio il coraggio necessario nell’affrontare senza rimpianti anche la morte. Dopo aver trascorso alcuni giorni prigioniero a Paluzza viene liberato.

Se prima erano i fascisti, repubblichini e cosacchi che lo cercavano, imprigionavano e lo minacciavano di morte, a liberazione avvenuta intervengono gli Alleati: il 12 Settembre 1945 viene denunciato per detenzione di armi da guerra, con perquisizione dell’abitazione da parte di soldati inglesi ed americani coadiuvati da carabinieri e polizia italiana (vedi la poesia “I Carbinîrs -Àstu cjapât pôra mari?”). Nei due anni successivi se la disoccupazione da un lato riduceva le poche entrate per vivere, dall’altro consentiva una intensa dedizione all’attività politica: dopo la liberazione fu tra i costituenti della sezione dell’ANPI e da questa eletto a Comandante militare in seno al CNL Comunale, nel Settembre del ’45 si adopera per costituire il Fronte della Gioventù [1] reclutando il 90% dei giovani del Comune, nello stesso periodo organizza la sezione del Partito d’Azione [2] di cui fu segretario fino allo scioglimento nel 1947.

Nel Settembre 1947 emigra per la prima volta come stagionale in Svizzera ritornando al paese durante l’inverno; e ciò per 4 anni fino al 1950.

Nei tre mesi di permanenza al paese continua la sua attività politica. Dopo lo scioglimento del Partito d’Azione si avvicina per un periodo al PSI e quindi nel 1950 chiede l’ammissione al PCI retto in quel periodo a Ravascletto da Da Pozzo Emilio, e di cui diviene segretario per quattro anni. Riesce in quel periodo a ricostituire la sezione arruolando nel 1950 52 sostenitori che regolarmente pagavano i cosiddetti bollini.

Nel 1951 si trasferisce quindi definitivamente a Zurigo assunto presso una fabbrica di elementi prefabbricati in cemento, Ditta FAVRE a Wallisellen, nel Cantone di Zurigo. Per 14 anni lavora in questo stabilimento con funzioni anche di controllo delle diverse maestranze, ma sempre in uno stato di sfruttamento padronale:

 

Ricordo che il fascismo propagandava i metodi russi, e cioè in Russia nelle fabbriche si lavorava con la mitragliatrice puntata. In Svizzera si lavora con il cronometro puntato pena il licenziamento per gli emigrati”. 

 

 

[1] Il "Fronte della gioventù",  o "Fronte della gioventù per l'indipendenza nazionale e per la libertà", fu costituito a Milano nel gennaio 1944 con la partecipazione dei rappresentanti dei giovani appartenenti alle forze antifasciste (comunisti, socialisti, democratici cristiani, liberali, giovani del Partito d'Azione, repubblicani, ragazze dei Gruppi di Difesa della Donna, giovani del Comitato contadini). Animatori furono Eugenio Curiel, membro della direzione del Partito Comunista, Camillo De Piaze, David Maria Turoldo. Gli scopi erano di organizzare l’azione armata dei giovani e la loro partecipazione alla vita sociale e politica della nazione sotto il segno della democrazia più larga. Nel dopoguerra l’organizzazione assunse un orientamento politico vicino a quello del Partito Comunista per cui i diversi movimenti giovanili che inizialmente avevano aderito nello spirito unitario di lotta si allontanarono. Nel 1947 il Fronte della Gioventù si sciolse definitivamente

Da Wikipedia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Fronte_della_giovent%C3%B9_per_l%27indipendenza_nazionale_e_per_la_libert%C3%A0

 

[2] Il Partito d'Azione si costituì il 4 giugno del 1942 nell'abitazione romana di Federico Comandini. Di orientamento radicale, repubblicano, socialista liberale e socialdemocratico, si sciolse nel 1947.  Organo ufficiale era L'Italia libera. Da Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_d%27Azione

In fabbrica, Ditta FAVRE a Wallisellen, Cantone di Zurigo, 1966

In fabbrica, medesima Ditta, 1972

Di fronte alle precarie condizioni operaie aggravate dalla situazione di emigrato, Miro, com’è nella sua natura, si tuffa nell’attività politica. 

Si iscrive nel 1951 al Partito del Lavoro [3], al Sindacato FLEL (Federazione Svizzera del Lavoratori Edili e del Legno, il cui dirigente era Ezio Canonica), alla Federazione delle Colonie Libere Italiane, alle organizzazioni semiclandestine del PCI e della CGIL in Svizzera. Questo gli valse diverse denunce ed interrogatori da parte del Criminal Commisariat di Zurigo. Nei quaderni diaristici viene riportata l’attività politica di diffusione della propaganda presso le baracche degli emigrati italiani, le diverse riunioni, la partecipazione ai congressi politici e sindacali, ma anche le delusioni nel constatare il modo di far politica dei dirigenti tutto volto più agli intrallazzi carrieristici, al cadreghino, alla imposizione delle direttive centrali, che agli interessi della classe operaia. E ciò non solo nei confronti dei dirigenti locali, associazioni o partiti, ma anche verso quei politici di professione che, ieri come oggi, intervengono in ogni luogo per camuffare con le loro parole la triste realtà di un mondo in cui esiste lo sfruttamento di classe:

 

Quante belle parole per il ventennale della Repubblica Italiana, onore ai morti ed agli eroi, ai partigiani ed ai lavoratori, da parte di questi esponenti che niente hanno provato, ma che tanto ci tengono a portare acqua al proprio mulino perchè non si arrestino le loro carriere e posti di cadreghino. Ma se potessero riprendere le armi questi partigiani che allora avevano dato loro stessi per avere una guida migliore nella nazione, e che oggi languiscono chi in galera, chi privo dei più necessari sostentamenti, essendo disoccupato, chi segnato a dito quale poco di buono, lontano da quella patria che essi avevano creato da 15-20 anni (…). Già da 14-15 anni ci promettono, consoli e ambasciatori, deputati e ministri, sottosegretari e ciarlatani, poi dietro vengono gli esponenti dei partiti, associazioni, ecc. (…) compreso i compagni del PCI ” (27 Maggio 1966). 

 

Nelle diverse pagine si legge lo stato di tensione ideale che lo anima, la frustrazione di fronte alla dura realtà fatta anche del tradimento delle forze politiche cui aveva dedicato per 15 anni tutto il tempo libero, ed anche più, la difficoltà a comprendere, a trovare una spiegazione logica a tutto quello che si presenta nella vita di tutti i giorni e nel mondo:

 

Possibile che dopo 20 anni che leggo, che scrivo,  che assisto a dibattiti, conferenze, divoro libri, che non capisca niente. O vado indietro io o gli altri mi fanno stare fermo, cioè mi tengono amorfo” (16 Giugno 1966).

 

Nel 1962 dunque si dimette dal PCI: “... perché nella mia ignoranza vedevo questo partito che avevo servito per 15 anni con tutte le mie forze andava prendendo delle posizioni anti-operaie senza che la maggioranza degli operai che lo avevano formato si accorgessero”.

 

Pur continuando la sua attività sindacale (come delegato per i cementieri alla contrattazione confederale, volontario all’Ufficio di Consulenza in seno all’emigrazione della FLEL, diffusione due volte/settimana nelle baracche di materiale informativo sindacale), Miro si avvicina alla nuova organizzazione di ispirazione maoista, ovvero al Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista), PCd’I (m-l), il cui organo ufficiale era il giornale “nuova unità” [https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Comunista_d%27Italia_(marxista-leninista)]

 

[3] Partito del Lavoro: nome assunto dal Partito Comunista Svizzero nel 1944 per eludere la messa al bando da parte delle Autorità Confederali del 29 Novembre 1940.

Delegato sindacale al Congresso della FLEL, Basilea 1967 (primo da destra in prima fila)

Naturalmente questa scelta comporta la reazione da parte dei dirigenti e degli stessi compagni di base con isolamento politico ed attacchi verbali:

 

Quasi quasi non sarebbe più nemmeno di uscire perché è uno scontro continuo sia con i compagni revisionisti dirigenti (cioè i compagni del PCI n.d.r) sia con i vecchi compagni di base che ancora vanno dietro al carro (…). Non faccio che rientrare con i nervi a fior di pelle. (…). Eppure devo uscire” (23 Febbraio 1967).

 

In quel “Eppure devo uscire” (sottolineato dal Nostro), Miro esprime la necessità dell’impegno, della lotta politica, uscendo dalla ristretta cerchia individuale a cercare gli uomini con cui confrontarsi, trovare un punto di convergenza per continuare la lotta, dipanare insieme la nebbia che impedisce di individuare il giusto percorso. La strada diventa difficile, ma le energie non mancano:

 

(…) Quest’anno sono giù sia nello spirito sia con il morale: come ci si può abbattere così quando c’è un ideale che batte nel cervello continuamente? E’ un contrasto interno che non si elimina in poco tempo per ritornare forti anche nello spirito. Si è prigionieri di se stessi ed automaticamente come degli automi. Ci si vede slegati da tutti, senza amicizie, senza poter fare un esame e sottoporlo al controllo di chi ci si fida. Ho sentito tante belle parole oggi al comizio del 1° Maggio. Gli Spagnoli, i Greci, gli Italiani, gli Svizzeri; viva la Grecia, viva la Spagna, viva il Vietnam. Ho sentito alla radio lettere dei condannati a morte greci, cecoslovacchi, olandesi. Io stesso a quei tempi gridai di fronte al plotone di esecuzione <<Viva l’Italia>>, ma gridai anche <<A MORTE IL FASCISMO E LIBERTA’ AI POPOLI>>; si lo gridai, e lo grido anche oggi in me stesso in un impeto di collera, e con le lacrime agli occhi, perché questo grido è stato represso, perché nessuno osa buttarlo fuori, perché nessuno osa chiamarsi internazionalista, anche quando si è di fronte alla morte, perchè si mette a tacere quei pochi che lo fanno (…). Spero e mi prefiggo di ritornare con il mio spirito in alto, si in alto, per avere ancora la forza di espormi in ogni luogo di fronte a tutti, e prima di tutto di fronte a me stesso come 22 anni or sono alle ore 15.30 a Ovaro” (1 Maggio 1967).

 

Queste parole se da un lato esprimono la sua coerenza di impegno, il suo imperativo categorico, dall’altro in esse si intravede la difficoltà nell’interpretazione dei fatti reali, la mancanza di saldi principi teorici e metodologici che lo salvaguardino dall’essere, consapevolmente o inconsapevolmente, la ruota del carro di interessi estranei a quelli della classe operaia.

La mancanza di un partito internazionalista ha fatto precipitare Miro, come tanti altri, nel baratro della più mostruosa mistificazione del  XX secolo. Gli anni che consideriamo, ma non solo visto che anche nei successivi il mito si protrae, vedevano l’Unione Sovietica e la Cina come patrie del socialismo. E la falsificazione è stata deliberatamente opera non solo dell’Unione Sovietica e degli apparati dei diversi partiti comunisti filorussi, ma dalle stesse borghesie occidentali che erano, e sono, ben consapevoli che l’affiliazione a questo o quel movimento pseudocomunista allontana le persone più coscienti ed impegnate dalla vera conoscenza del dominio di classe.

La natura economica-sociale dell’Unione Sovietica era ben presente nelle minoranze rivoluzionarie anche italiane. Bordiga nella seconda metà degli anni ’50 pubblica la sua opera “STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D’OGGI”, in cui con ampia documentazione e rifacendosi alla scuola marxista ed in particolare alla lezione di Lenin sul capitalismo di stato, definiva i rapporti economici russi come rapporti di tipo capitalistico con ampia partecipazione statale; in altre parole si trattava di capitalismo di stato, altro che patria del socialismo come propagandato dai partiti filorussi occidentali. La storia gli ha dato ragione. Analogamente negli anni sessanta altre minoranze rivoluzionarie definivano la Cina.

Il mito di Stalin, salvatore della rivoluzione socialista, in molti non viene offuscato nemmeno dal rapporto del XX Congresso del Partito Comunista Russo del 1956; Stalin è il padre del socialismo, colui che ha portato l’Unione Sovietica alla vittoria contro il nazifascismo. Di fronte alla denuncia di Krusciov o ci si adegua al nuovo corso o si rimane attaccati a quel mito. E se questo mito viene mantenuto e rafforzato dalla propaganda di una nazione come quella cinese in cui naturalmente c’è il socialismo, allora si diventa maoisti ed i partiti comunisti sostenitori del’URSS sono dei revisionisti. E’ questo il percorso di Miro, e non solo. Egli non si è accorto che tutte la posizioni teorico-politiche dei diversi partiti del momento (sia i grandi partiti comunisti italiano, francese, iugoslavo sia i diversi gruppi maoisti, castristi, trotskisti, sottosviluppisti, ecc.) in mancanza di una adeguata analisi politico-economica non facevano altro che appoggiare gli interessi capitalistico-imperialistici della Russia, della Cina, o di qualsiasi altra nazione ormai entrata nella sfera dell’imperialismo unitario. La classe operaia in assenza di un suo partito autonomo dal punto di vista teorico ed organizzativo, pronto a sfatare questi miti, non poteva altro che essere utilizzata da queste correnti sostanzialmente opportuniste, abbandonando i suoi uomini più impegnati alle più cocenti delusioni.

Non è questa la sede per analizzare in modo approfondito le diverse posizioni politiche dei gruppi che si sono succeduti nel panorama politico di quegli anni. E Miro, oltre ai maoisti, ne ha conosciuti molti:

 

Dopo il ’69 conobbi un po’ tutti gli extraparlamentari. Sono convinto che tutti questi gruppi in quegli anni riuscirono a svegliare un po’ le masse”.

 

Allo stato attuale delle ricerche e la mancanza di scritti diaristici dopo il 1969, quali siano tutti questi gruppi extraparlamentari cui Miro è venuto in contatto non è dato sapere. Il successivo spoglio delle carte forse potrà supplire a questa mancanza.

Dopo circa 14-15 anni di permanenza in Svizzera Miro decide, nel Marzo 1975 di rientrare in Italia. Si stabilisce a Trieste e dopo alcuni mesi, nel Settembre ’75, viene assunto come operaio presso le Officine Meccaniche Triestine. Nel 1977 viene messo in cassa integrazione e quindi licenziato. In quegli anni a Trieste entra in contatto con gruppi anarchici; conosce, e ne diventa amico, Umberto Tommasini (1896 - 1980), combattente in Spagna, con cui  intavola, nelle osterie triestine, interminabili discussioni, cui lo scrivente ha avuto la fortuna di partecipare, sulla necessità o meno dello Stato dopo la rivoluzione, le lotte intestine fra anarchici e stalinisti in Spagna, le  prospettive future della lotta politica.

 

Umberto Tommasini diffonde il giornale Germinal a Trieste, in Via Carducci.

https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Tommasini)

La continua ricerca ha condotto Miro ad incontrare alla fine l’organizzazione che è stata in grado di dare una risposta ai molti problemi, teorici e pratici, che il Nostro, forse in modo intuitivo, si era sempre posto nel corso della sua vita di lotta. Dal 1976 e fino al 1991 Miro ha dato il suo contributo alla costruzione del partito di classe, Lotta Comunista, ritrovando e riannodando quei fili rossi di cui abbiamo parlato nella prefazione.

Nell’82 viene fatta diagnosi di carcinoma rinofaringeo. Per molti anni ha combattuto con questo nuovo nemico a suon di interventi chirurgici e radioterapia, fino alla fine avvenuta nell’Ospedale di Trieste l’8 febbraio 1991.

Le sue ceneri saranno sepolte, in forma civile, nel cimitero di Zovello, nella stesso luogo ove riposava già da circa 22 anni il fratello Anastasio. L’orazione funebre (vedi la sezione dedicata) è stata tenuta dal compagno De Biaggio Roberto in rappresentanza del Circolo Operaio di Udine, con la presenza della bandiera del PCd’I della sezione di Ravascletto. Non c’erano naturalmente i “compagni” con cui un tempo Miro aveva lottato anche a rischio della sua vita, e naturalmente nemmeno rappresentanze ufficiali da cui Miro già da molto tempo si era allontanato.

Meglio cosi!

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